Formazione: una chiave per il mondo del lavoro


La formazione è una carta vincente e un fattore strategico nel mondo del lavoro.
Rafforza la competitività delle imprese, crea le condizioni per attrarre e trattenere talenti e insieme favorisce l’innovazione e lo sviluppo delle attività aziendali. Dal lato dei lavoratori, apre a nuove opportunità di lavoro, presenta occasioni di crescita personale, economica e professionale e in più regala soddisfazioni legate all’imparare nuove nozioni, procedure, abilità: all’aver investito insomma su se stessi e il proprio percorso professionale e di carriera.

Il discorso vale oggi probabilmente più di prima, davanti a forze che stanno modellando il futuro della società e che hanno ricevuto un’ulteriore spinta dalla pandemia: la digitalizzazione, l’innovazione, il potenziamento tecnologico, l’ecosostenibilità

Ci sono competenze e competenze

Dizionario alla mano, competenza è una parola che deriva dal latino “cum petere” e che vuol dire “andare insieme, tendere verso un obiettivo comune”.

La competenza, quindi, mette le persone nella condizione di poter svolgere mansioni e ruoli determinati.

Con ogni probabilità, quando si riflette sull’argomento, vengono subito alla mente abilità manuali e fisiche. Ma ci sono in realtà diversi tipi di competenze.

Esistono ad esempio le competenze tecniche, o hard skill, che si acquisiscono a scuola, al lavoro o tramite corsi di perfezionamento. Sono competenze misurabili, quantificabili attraverso diplomi e attestati. Esempio: la conoscenza delle lingue straniere, dei pacchetti informatici, dei linguaggi di programmazione, o l’utilizzo di specifici macchinari.

Come si capisce, sono competenze che è importante tenere aggiornate: una “tirata a lucido” le mantiene al passo coi tempi.

Ci sono poi le soft skill: competenze dette “trasversali” che, in quanto tali, possono essere applicate sia in contesti lavorativi sia non lavorativi. Dipendono dalla personalità, dalla cultura e dal vissuto di ciascuno di noi e hanno a che fare con la sfera interpersonale e la comunicazione. Sono soft skill la flessibilità, il problem solving, la capacità di ascolto, la creatività, l’empatia e così via.

Queste ultime sono considerate sempre più importanti nel mercato del lavoro di oggi. Ed entrambe – hard e soft – è consigliabile che siano ben indicate nel proprio curriculum vitae, cosa che non sempre i candidati a una posizione lavorativa tendono a fare.

Ancora un po’ di vocabolario

Tra le parole che si incontrano parlando o informandosi di formazione si trovano anche upskilling e reskilling.

La prima indica l’acquisizione, da parte del lavoratore, di nuove competenze nello stesso ambito di lavoro, per andare incontro ai cambiamenti che si registrano nel mondo occupazionale e nei ruoli professionali. Up-skill, ovvero un upgrade delle proprie competenze per svolgere il lavoro in modo ancora più efficiente.

Reskilling, invece, vuol dire riqualificare le competenze di cui si dispone per potersi occupare di nuove attività lavorative, ad esempio le nuove professioni che sorgono in rapporto all’innovazione, oppure una professione in un altro ambito o settore.

Un’altra espressione in cui ci si imbatte è skill gap, cioè il divario tra le competenze possedute dai lavoratori e le competenze richieste dalle aziende. Questo squilibrio rende importanti i percorsi di upskilling e reskilling cui accennavamo.

Qualche numero

A conferma dell’importanza della formazione, secondo dati ufficiali oltre la metà della popolazione adulta italiana in età lavorativa è potenzialmente bisognosa di riqualificazione delle competenze: esattamente tra il 53 e il 59% dei 25-64enni.

Secondo il rapporto Desi (Digital Economy and Society Index), inoltre, il 42% degli italiani tra i 16 e i 74 anni ha solo competenze digitali di base rispetto alla media europea del 56%. Le competenze digitali più avanzate si fermano al 22% contro la media UE che arriva al 31%.

Formazione e PNRR

La formazione è anche uno dei pilastri del PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che ha l’obiettivo di favorire il rilancio dell’economia italiana dagli effetti della pandemia attraverso un’ambiziosa agenda di riforme, articolata in sei Missioni.

La sfida delle Politiche attive del lavoro e formazione è indicata alla Missione 5, componente 1.

In questa cornice, l’Italia ha predisposto il Piano Nuove Competenze, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 28 dicembre scorso e finalizzato a “riorganizzare la formazione dei lavoratori in transizione e disoccupati, mediante il rafforzamento del sistema della formazione professionale e la definizione di livelli essenziali di qualità per le attività di upskilling e reskilling”

La riforma interessa un gruppo molto ampio di persone occupate e disoccupate, con bassi livelli di qualificazione e categorie con maggiori fragilità, come percettori di NASPI e DIS-COLL, percettori del reddito di cittadinanza, giovani, donne, fino ai lavoratori che beneficiano di strumenti di integrazione salariale straordinari o in deroga, e Neet (Neither in Employment or in Education or Training – ovvero, gli oltre 2,1 milioni di giovani che come dice l’acronimo non studiano, non si formano e non lavorano).

Il Piano comprende tre programmi.

  • Il Programma GOL (Garanzia occupabilità dei lavoratori), dedicato principalmente a disoccupati, a favore dei quali è previsto un intervento di aggiornamento delle competenze o riqualificazione.
  • C’è poi il Sistema Duale per i giovani tra i 15 e i 25 anni.
  • Infine, il Fondo Nuove Competenze, rivolto ai lavoratori delle aziende che hanno stipulato intese o accordi collettivi di rimodulazione dell’orario di lavoro, rispondendo alle innovazioni di processo, prodotto o di organizzazione degli occupati. Le ore impiegate dai dipendenti per formarsi sono a carico del Fondo.
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